8 Maggio 2014
MADE IN ITALY: BENE PIZZA VERACE IN PRIMA PAGINA SU WSJ CONTRO TAROCCHI

La decisione del Wall Street Journal di mettere nella prima pagina del sito la storia di un pizzaiolo statunitense che per la prima volta ha deciso di produrre in Usa nel rispetto del disciplinare della vera pizza verace napoletana (VPN) è un segnale importante in un Paese come gli Stati Uniti che registra il record mondiale dei consumi di pizza con una media di 13 chili per persona, quasi il doppio di quella degli italiani che si collocano al secondo posto con una media di 7,6 chili a testa. E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che a fare la differenza è l’ impegno a seguire specifiche tecniche di preparazione e cottura e ad utilizzare determinati ingredienti, come preferibilmente vera mozzarella e pomodori San Marzano. Per ottenere la certificazione del suo locale il quarantenne Justin Piazza, nato negli Usa, ha dovuto realizzare un forno a legna adeguato, seguire corsi di preparazione per sei mesi e usare specifici ingredienti, secondo il Wall Street Journal. Il risultato è un prodotto eccellente non riscontrabile in altri locali degli Stati Uniti dove – sottolinea la Coldiretti - il business della pizza vale 40 miliardi di dollari con il 93 per cento degli americani che la consuma almeno una volta al mese. La svolta del pizzaiolo di Phoenix in Arizona è una innovazione importante per il Made in Italy perché purtroppo di questo mercato - rileva la Coldiretti - quasi niente arriva all’economia italiana anche perché si usano quasi sempre ingredienti realizzati negli Stati Uniti, dalla mozzarella prodotta soprattutto nel Wisconsin, in California nello stato di New York alla conserva di pomodoro  ottenuta in California dove si stanno diffondendo anche le coltivazioni di ulivi senza dimenticare il diffuso utilizzo di ingredienti molto lontani dal Made in Italy come l’ananas. La perdita del legame della pizza con l’identità tricolore è un rischio che – denuncia la Coldiretti - corrono moltissimi prodotti Made in Italy per l’esponenziale diffusione sui mercati statunitense e mondiale di alimenti “taroccati” che richiamano nel nome e nell’immagine all’italianità senza avere alcun legame con la realtà produttiva nazionale, dal parmesan al provolone, dal salame Milano alla soppressata calabrese, dall’extravergine pompeian al pomodoro san Marzano. In questo contesto l’arrivo della vera pizza tricolore in Usa si inserisce nel pieno della trattativa sull'accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti, Tansatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), che ha avuto una anticipazione nell’analogo negoziato condotto il Canada e che si occupa anche della tutela delle denominazioni degli alimenti e bevande e della proprietà intellettuale. La presunzione statunitense di continuare a chiamare con lo stesso nome alimenti del tutto diversi è inaccettabile perché si tratta di una concorrenza sleale che danneggia i produttori e inganna i consumatori e l’Unione Europea - sostiene la Coldiretti - ha il dovere di difendere prodotti che sono l’espressione di una identità territoriale non riproducibile altrove realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione sotto un rigido sistema di controllo. Negli Stati Uniti - continua la Coldiretti - sono stati prodotti nel 2013 oltre 200 miliardi di chili di formaggi di tipo “italiano” dal Parmesan all’Asiago, dal Provolone alla Mozzarella, fino al Gorgonzola che nulla hanno a che fare con il tessuto produttivo Made in Italy.
La pizza - conclude la Coldiretti - è nata in Italia con le prime attestazioni scritte che risalgono al 997 e con l'arrivo degli immigrati italiani  nel tardo. XIX secolo fece la sua prima apparizione negli Usa dove si è rapidamente affermata, anche con curiosi adattamenti locali nella preparazione, negli ingredienti e nelle occasioni e modalità di consumo, che hanno purtroppo fatto dimenticare a molti la reale origine.

IMPRESA VERDE CAMPANIA – ENTE DI FORMAZIONE

LA FORMAZIONE

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  • IMPRESA VERDE CAMPANIA SRL è Ente di Formazione impegnato nel sostegno e nella promozione di una visione ampia ed elevata della Formazione Professionale, che tiene conto del cambiamento e delle trasformazioni della società e della comunità locale nella quale opera, programmando i propri corsi, in considerazione delle tendenze del mercato del lavoro territoriale e delle figure professionali più richieste.
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